venerdì 3 giugno 2016

Per innamorarsi basta un'ora

Cantare "Maledetta Primavera" su un palco, con dei musicisti veri alle spalle che suonavano seriamente, insieme a una decina di amiche, con un pubblico di persone che non ci conosceva a guardare, come se fossimo a casa, davanti allo specchio in bagno, con la spazzola in mano al posto del microfono.


Questo è il sunto del matrimonio di Mary e Gino: una felicità talmente naturale da permettere a chiunque di sentirsi se stesso senza sentirsi in pericolo, perché circondato solo da amore e sorrisi profondi.
La firma

Parlarne oggi, a distanza di una settimana, è stato l'unico modo che l'emozione mi ha concesso, affinché mi fosse permesso di guardarla senza esserne sopraffatta.

E lo sarei stata anche se Mary, la mia amica Mary, non fosse stata proprio lei, ma un'amica meno sorella.
(Però lo era. Diciamocelo.)

Chiunque sia stato presente a questo matrimonio, anche solo guardando le foto, non ha visto che occhi a cuore, abbracci, commozione, unione, partecipazione.
Tutti sostantivi in "one", comunque, come fossero accrescitivi di una felicità finalmente palesata al mondo.

Come quando vai ad un concerto di qualcuno che ami tanto e intorno a te sono tutti sintonizzati sullo stesso sentimento.

Che poi è qui proprio, il punto. Il punto è amarsi anche perché fatti di musica.
Perché è anche o soprattutto da lì che l'amore è passato.
Grazie a? Come ha detto l'amico di Gino, Paolo, durante la cerimonia.
O attraverso? Come oggi, a distanza di 15 anni, riesco a dire io della mia amicizia con Mary.

Forse ambedue.
Loro due, Mary e Gino, insieme, sono nell'aria come la musica. Li senti e anche se non li vedi, ne percepisci la forza, come note che hanno un loro suono singolo ma una melodia irresistibilmente trascinante, insieme.

Noi

Guardarli ricorda l'importanza di cercare la felicità perché domani, a voltarsi indietro, è di giorni come il 27 maggio del 2016 che ci commuoveremo e non di quelli in cui ci siamo dimenticati di noi stessi e della convinzione di sentirsi degni di essere amati.

Amo Gino, profondamente, di riflesso all'amore che provo per Mary e non solo.
Lo amo per quello che era prima di incontrare Mary e per quello che è diventato con lei: la sua semplicità malgrado possa mangiare in testa a tanti, la voglia continua di mettersi in discussione e non sentirsi mai arrivato, il calore con il quale vuole bene, la passione per ciò che fa, la sua disarmante sincerità, la capacità di essere qualcosa di bello in qualunque contesto si trovi.

E adesso, accanto a Mary, accanto alla mia, alla nostra Mary, è anche un uomo innamorato che riflette amore, come ne avesse in eccesso.

Sì, comunque è della mia amica Mary che parlo, in effetti.

8 marzo 2003 - raduno Bandabardò
Una settimana prima del matrimonio, ogni tanto, dal nulla, all'improvviso, mi uscivano lacrime.
Pensavo a noi due, davanti al primo palco insieme, il 12 settembre del 2002 "Ah tu sei Sara?" - "Sì" - "Piacere Mary".
Pensavo a noi due, sole o con altri amori accanto, davanti ad altri centomila palchi, dopo quel giorno.
Pensavo a me e lei cambiare volto, capelli, vestiti, case, città, lavori, sempre mano nella mano, sempre legate dall'idea che il futuro potesse essere solo insieme.
Pensavo alle volte che ci siamo dette "stavolta è dura, come ne usciamo?" e a quanto ne abbiamo riso dopo ricordando come ne siamo uscite.
Pensavo ai chilometri fatti per vederci o per salvarci l'un l'altra.
Pensavo alle interminabili discussioni che spaccavano capelli non in quattro ma in particelle infinitesimali, che laceravano e ricostruivano ogni parte del nostro io e finivano con un vaffanculo.
Tutto per uscirne come siamo oggi.
Tutto, probabilmente, affinché fossimo così felici il 27 maggio, io, lei e chiunque amiamo.





Non sempre è necessario aver passato la vita insieme ad una persona, per amarla come una sorella.

Non sempre è necessario aver passato la vita insieme ad una persona, nemmeno per sapere che la amerai sempre come una sorella.

Per noi è così. Lo sappiamo già.

Auguri sorella mia. Auguri mano nella mano, sempre.


Auguri Mary & Gino.
Affinché sempre e malgrado tutto, siate capaci di essere felici come questo 27 maggio.

Vi voglio bene.

Vale, io, Mary
p.s. Nel frattempo, mentre finivo di scrivere questo post, si è sposata la nostra dolce Valentina, quella nelle ultime due foto insieme a me e Mary e poi insieme a me, Mary, Kikka, Chiara, Marzia, Monia, Isa.
E noi, malgrado non avessimo formale invito, non certo perché non ci volesse, abbiamo deciso di presenziare, proprio perché il 27 maggio ha ricordato, ribadito e rigenerato, le priorità affettive delle nostre vite.

Non lo so quante pagine di questo blog ho speso, per parlare della mia famiglia allargata, dell'eterogenea e confusa  comitiva di persone delle quali non potrò mai fare a meno.
Non lo farò ancora. Sembrerei banalmente ripetitiva, smielata e forse retorica.

Ogni volta però, sono fiera di me e di noi, sono fiera perché abbiamo scelto di voler bene e di riceverne e che da questo fondamento riesca a partire ogni azione della nostra vita, prescindendo dal bello e dal brutto, qualunque cosa essi siano.

Buon matrimonio e auguri anche a voi, Vale & Dario.




Che la vita ci preservi sempre la voglia di viaggiare per vederci.








lunedì 16 maggio 2016

A Cla'...

Eccoci qui, guardaci... io con la forza dell'adolescenza nei capelli lunghi e un sorriso cercato nei ricordi, a pochi mesi dalla morte di mio papà e tu, grande e potente come l'io che hai donato ai posteri.
Questa foto ha 20 anni.
Era una sera qualunque, di un anno in teoria qualunque, di una vita qualunque, la mia. La mia cara amica Renata mi aveva chiamato piangendo perché il suo fidanzato, ora suo marito, aveva rotto con lei. Ero a consolarla ma ho ricevuto una telefonata: mia sorella che lavorava nell'allora ristorante "Le Nane" mi ha detto che eri lì a cena.
Ho preso Renata, la macchina fotografica e incurante del suo dolore sono venuta dov'eri, con lei.
Le ho detto "Scusami, ti consolerò tutta la vita, promesso, ma i treni passano una sola volta e bisogna prenderli".

Mi sono seduta nella hall del ristorante, ad aspettare che finissi di cenare.

Mi capitava spesso di fare un brutto incubo, in quel periodo; sognavo di incontrarti per caso, in strada, in ristoranti, nel backstage di un concerto non tuo e di chiederti di fare una foto con me.
Tu gentilissimo me la concedevi ma la macchinetta non scattava. Così ti chiedevo di aspettare, riprovavo ma alla fine andavi via ed io ero senza foto, con un ricordo che avevo perso per colpa di un oggetto.

Così quella sera, l'emozione di vederti fermare davanti a me e questa foto che mi hai concesso a "premio" per non averti disturbato a cena, è stato un incubo archiviato e finalmente la prova che i sogni si avverano e alcune volte sono meglio di quelli sognati.
E non per la foto, che ad oggi vedo quasi ridicola ma per un banale senso di rivalsa nei confronti del senso di inadeguatezza onirico, quindi reale ed inespresso.

Banalità da ragazzina.

Poi la vita mi ha portato un po' più vicino a te ma quello sguardo perso, quando ti ho vicino, non è cambiato mai.

E' difficile starti vicino e parlarti "normalmente", impossibile guardarti negli occhi.
Basta la tua voce che, appena la sento, apre mondi infantili, come risentire la canzone che ha scelto di cantarmi mamma quand'ero nella sua pancia, avvertire quella quiete che ti fa apparire al sicuro e quella possibilità di provare gioie e dolori, protetto da parole e musica.

Perché lo sai, questo fai tu: proteggi le vite delle persone dando forma cantata ai loro io, affinché un dolore o una gioia smisurata, passino prima da te, filtrati dall'immagine che hai voluto dar loro. E noi piangeremo sempre sulle tue note, non sui nostri se e ma.

Per questo è difficile parlarti, dirti cose diverse dal "grazie".

Perché custodisci la memoria di una vita, di ogni vita che ti ha scelto come colonna sonora.
Nello specifico, mi sembra pleonastico, la mia.
Spesso rimani l'unico file rouge con persone, luoghi ed eventi del mio passato.

Anche quando durante un concerto rivolgi lo sguardo verso dove mi trovo, ho imbarazzo.
Come se mi dovessi sentire alla tua altezza, come se mi sentissi "messa alla prova" o mi guardassi nuda.

Ecco Claudio, ti scrivo e ti racconto episodi di poco conto, perché dopo averti sognato ancora, l'altra notte, che invece di volere una foto con te, chiacchieravamo e io ti parlavo come farebbe una donna e non come un'adolescente adorante, ho sentito il bisogno di farti gli auguri non come un idolo ma come un uomo,  di mettere via anche io quel tassello iconico che in tanti anni ti ha permesso di camminare sollevato dal suolo, come ora.


Sono giorni che ascolto a ripetizione "Strada Facendo", come se non l'avessi mai ascoltato. I dischi, come i libri e come i film, hanno un momento per essere ascoltati, letti e visti. Quel momento di solito è quello che si sceglie, per dare un senso ai propri sentimenti inespressi, impalpabili o irraggiungibili.

Strada facendo, adesso, è il senso del mio percorso in una vita che mi ha visto cambiare, evolvere ma spesso anche involvere per cercare qualcosa che avevo perso, lasciato cadere dalle tasche troppo piene di cose che non servono.

Che sia anche il tuo, questo senso.
Che tu sia capace di involvere, ancora, per ritrovare un Claudio perso tra orpelli e suppellettili vuoti, messi lì da chi ama l'icona, non te.
Che tu abbia ancora il coraggio di guardare il mondo con la profondità con cui mi hai fatto crescere.
Che io possa camminare di nuovo grazie alle tue note che non guardano il passato ma il futuro, che non ricordano solo chi eri ma chi sarai.

E' il mio augurio, Claudio.

Sii sempre. Non qualcosa, non qualcuno, sii e basta.

Buon compleanno grande uomo.












giovedì 21 aprile 2016

Roma spogliata

Tramonto a Porta di Roma

E quindi città mia, quanti ne fai?
'n'eternità! Come va, te senti vecchia?
E che me dici, co' l'acciacchi come stai?
c'è quarcosa che te pesa e che t'abbacchia?

A guardatte sembri solo tanto stanca,
ricolma de cemento e de persone,
ignari daa grandezza che te manca
sepolta dalla loro confusione.

E i ladri, li padroni, i prepotenti?
Come fai ancora a sopportalli?
Tutti che se credono 'mportanti
come 'n pollaio de soli galli.
Aniene dal Ponte delle Valli

Chiunque ariva se sente de diritto 
imperatore dentro ar Colosseo
che fa' come je pare e zitto, zitto
aspetta de portasse via er trofeo.

Te guardo, Roma cara e me dispiace
de vedette trattata a sta maniera
meriteresti armeno 'n po' de pace
quella che ariva dopo la bufera.

Ma ormai manco la pioggia li pulisce
i resti de chi se magna tutto,
continueranno fino a che 'n finisce
mentre chi t'ama resterà all'asciutto.

Se mòri  sarà 'na sofferenza,
così impotente de fronte a chi te sfrutta
ma tocca abituasse co' pazienza
a sta in una città ch' ormai è brutta.

Un po' come 'na donna anziana
che p' anni è stata la più bella
adesso t'osservo e me fai pena:
te se litigheno ma resterai zitella.

Te va ancora de vive pe' la gloria
de  quello ch'eri grazie all'antenati?
un peso de secoli de storia
pe' 'n popolo de merda, de cittadini ingrati.

Cancello su Via Annone
C'hai reso grandi ar monno de riflesso
come 'no specchio che mente con destrezza
eppure a pochi je n' importa adesso
che t'hanno ricoperta de monnezza.

Vabbé, c'hai ragggione, chiedo scusa
è pe' l'auguri c'ho scritto ste du' rime
nun volevo lasciatte disillusa
che nun potresti ritorna' sublime.

Sei capitale e no pe' li denari
sei la capoccia de quest'Italia 'nfame
fajela vede' a sti quattro buiaccari
cacciali via, rovinaje le trame!

De mio ce provo tutti i giorni
a ricordamme de quella che sei stata
perché 'o spero che prima o poi ce torni
  ad esse la regina incontrastata.

Buon Compleanno città dei miei natali
er desiderio soffia su' la torta
che cor Ponente spariscano anche i mali
soffia più forte che er vento se li porta!

Te auguro cor còre 'nnamorato
che tu risorga come la fenice
e voli via da chi t'ha celato
pe' mostratte finalmente felice.


Scritta sul muro di Via Annone

lunedì 21 marzo 2016

La famosa squadra G cinque eroi uniti qui

Questa notte ho fatto un sogno che mi ha un po' scosso.
Stavo camminando in strada per entrare in uno studio medico dove avrebbero dovuto operarmi al piede.
Davanti alla porta dello studio medico, intravedevo la macchina di una mia amica fraterna che non frequento da un po'.
Speravo fosse realmente la sua, nel sogno, per poter riabbracciare lei dopo tanto e chiudere alle spalle ogni problema potesse essersi creato con la distanza. La vedevo scendere dalla vettura; mi vedeva anche lei e subito dopo aver realizzato che ero io, girava la testa per evitarmi, infilandosi dentro un negozio contiguo allo studio medico. Mentre eravamo ancora sulle rispettive porte, le gridavo che le voglio bene, che lei lo doveva sapere e se lo doveva ricordare: "ti voglio bene, hai capito?", le dicevo con la voce rotta.

Lei faceva un gesto di stizza come per mandarmi a quel paese e se ne andava, lasciandomi con il mio affetto chiuso e solitario.

Mi sono svegliata con una sensazione di tristezza immensa, di mancanza profonda, come se mi avessero rubato qualcosa a cui tenevo quanto una parte di me.

Penso molto a lei, questi giorni. Penso alla lei con cui ho passato tanti anni della mia vita: la sua decisione di non frequentare più me e le amiche che mi sono care quanto lo erano a lei, mi sta pesando sull'anima. Soprattutto perché non ne ho capito il motivo.
Tra un paio di mesi la piccoletta delle cinque amiche che eravamo, amica del sogno compresa, si sposa. 
Siamo felici, in fibrillazione, contente ed eccitate come delle adolescenti che guardano un film con Zac Efron.
Questa assenza però, è come un ma alla fine di una frase in cui dici che va tutto bene.

Continuo a pensare alla sua capacità di vedere la vita in modo positivo, di guardare sempre alla bellezza delle cose, alla sua contagiosa voglia di divertirsi e di non invecchiare mai.
Tutto questo mi manca e non solo a me.
Ci manca quello che eravamo insieme e lei, con pregi, difetti e contraddizioni.
Chissà se manca anche a se stessa.
Chissà se allontanarsi è stata una necessità, se darmi e darci la colpa di qualcosa che non sappiamo o non abbiamo capito, le serviva per trovare una nuova se'.

Solo in questo caso potrei accettare la lontananza e starmene da parte a guardare la sua vita.
Sì, è un po' melodrammatica questa osservazione, me ne rendo conto ma è una delle rare volte in cui mi sento impotente, in cui sto da parte perché non posso ottenere nulla di diverso da quello che è lo stato delle cose.

Il fatto è che sono e rimarrò convinta che potrei e potremmo aver fatto tante cose sbagliate ma parlando si sarebbero risolte, anche solo per il profondo amore reciproco.

E se non ci fosse più, questo amore?
Se non ci fosse più avrei voluto sentirlo dalla sua voce.





Anche se non ci avrei creduto. Un po' come quando non ti rassegni ad un fidanzato che ti ha lasciato perché credi che ti ami ancora.



Vedi, amica mia, anima bella, non lo so perché non mi rispondi, non lo so qual è la mia colpa, la nostra colpa ma voglio che tu sappia che mi manca tutto di te, che ora che siamo tutte vicine, che c'è qualcosa di felice da condividere, sei l'indice che manca in una mano.

Vorrei che andassimo in giro a scegliere il vestito per il matrimonio della cucciola, sentirti dire cosa mi sta bene e come dovrei prendermi cura di me, bermi con te un bicchiere di Shiraz parlando di cose futili, abbracciarti come non succede da tanto, troppo tempo.
Vorrei telefonarti alle 2 di notte e cercare una soluzione ai nostri problemi, vorrei farmi raccontare da te le stesse identiche storie che mi hai già raccontato mille volte, le sette pizze, il tennis, la ballerina che eri, l'amore per tuo papà.
Vorrei venire a cena da te e chiacchierare con tua mamma, vorrei che andassimo al mare alle 7 di sera per guardare il tramonto, bere un mojito e tornare a casa.
Vorrei andare al cinema a vedere un film che non fa pensare, vederti commuovere per le stupidaggini e ridere di questo.
Vorrei accompagnarti a concerti di musica che non ascolto solo per farti contenta.

Vorrei vedere il tuo sorriso, quello che so che c'è ancora, in una foto tutte insieme, qualche anno più tardi.

Vorrei vederti con noi a questo matrimonio.

Se ne hai voglia, a Pasquetta sai sempre dove trovarci e sei sempre la benvenuta.

E' come nel sogno... ti voglio bene sempre, amica mia.

Ti vogliamo sempre bene, amica nostra.





giovedì 25 febbraio 2016

Il senso del tuo ricordare e progettare


L'altra notte ho sognato il Maestro Ernst Knam.
Ero in una città sconosciuta, in un posto nuovo ma bellissimo, il centro medioevale di chissà quale paese dell'Italia.

Ero in gita da sola, a vedere un posto che mi piaceva, dove non ero mai stata.
Giravo con la meraviglia di un bambino al Luna Park, tanto per usare un paragone banale, il più immediato che ci sia, guardando sempre in alto, i merli dei castelli, i capitelli, le decorazioni floreali, zoo e antropomorfe, le nuvole che circondavano i campanili, come nella canzone di Bersani.

Felice e meravigliata.

Fosse per me visiterei sempre paesi con castelli e chiese, camminando per vie anguste, lastricate di pietre dalle dimensioni inusuali, fotografando angoli che immagino in bianco e nero illuminati magari solo dai fiori sulle finestre o sui balconi, figurando la vita di secoli fa.

Quello facevo nel sogno, quello che mi piacerebbe fare sempre.

Così, mentre inciampavo con naso all'insù, incontravo per sbaglio, in un angolo di un castello che stavo visitando, il re del cioccolato, sovrano del mio anno su questo blog: Ernst Knam.

Gli raccontavo il mio percorso, forse in cinque secondi di sogno, percepiti da me come una lunga conversazione di quelle tra padre e figlia. Che caso eh?

Gli raccontavo del motivo del blog, delle torte e di come erano venute, delle difficoltà incontrate e del percorso fatto nel mentre.
Poi gli dicevo che mi manca ancora una torta, lì, sospesa, indecisa e faticosa.
Faticosa perché non ho il maledetto trealosio, quello zucchero complicato che chissà se può essere sostituito con un "osio" a caso e faticosa perché trovarlo significherebbe sentirsi in dovere di fare la torta e salutare questo sublimante anno.

La solita domanda: sono pronta per chiuderlo o no?

Un concetto che forse avrò anche enucleato quelle sei o settecento volte, su questo blog. 'na cosa nòva, de quelle che dici "aho, hai rotto er cazzo e fa' sta torta! poi chiudi o lasci aperto, no?".

Se fossi semplice non sarebbe stato necessario fare un anno di dolci per chiudere un cerchio, no?

Lui mi stava ad ascoltare, serio.

Ho sempre visto il Maestro Knam come un profiterol, duro dal cuore tenero, uno di quelli che non lo sai finché non guardi cosa c'è dentro, se è buono o meno, di quelli che però lo intuisci che sono pieni d'amore. Severo il giusto, quello che serve per farti capire che ad essere Knam ci vuole fatica e non solo bravura ma capace di commuoversi se osserva una mamma abbracciare la propria figlia che non vede da tanto tempo.

Nel sogno mi sentivo io, la figlia che non vede da tanto tempo.

Alla fine di questa conversazione onirica, Knam mi porge una bustina con i 50 grammi di trealosio che mi servono per la torta, mi abbraccia piangendo e mi dice "così puoi finire quello che hai cominciato. Fai del tuo meglio".
Lo tengo stretto ancora un po', nel sogno, ringraziandolo commossa, poi vado via con la bustina, contenta di poter finire il dolce.

Tutto questo, sarebbe chiaro pure ad uno studente di psicologia che ha mutato in giurisprudenza perché negato, me sta a di' che lo devo finire, questo anno.

Lo devo finire perché i ricordi occupano lo spazio riservato al futuro e perché sì, anche se faccio questa torta e non ho chiuso il cerchio, verrà rotonda ugualmente.



Che il trealosio sia con me.


Ah, questa qui sotto è la foto della torta che mi manca, presa da "Bake off", il reality dove l'ha presentata come prova ai concorrenti. Non l'ho fatta io, chiaramente.

Si chiama "Giorgio", come suo figlio.


Per una volta vedrete come andrebbe fatta una torta e come verrà.



Er senso è: nun so sparita, sto a ariva'.

Grazie Maestro, anche per il sogno.













venerdì 22 gennaio 2016

...L'estate che passa in fretta, l'estate che torna ancora

Un milione di anni fa. O forse 2
E così sono stata bellina anche io.

Avevo 14 anni circa, capelli alla Samantha Fox ovvero scalati finto confuso, tutti da un lato, tipo Fantozzi vicino al megafono, occasionalmente con la frangia cotonata e laccata stile onda inviolabile del Pacifico, mille braccialetti ai polsi quasi tutti di una bruttezza epocale e con dei colori da labirintite, perché va oggi, ma prima di tutto andava negli anni '80. Magra.

Abbastanza magra.

Rispetto ad ora, stress, intolleranze e gonfiori a parte, pesavo ad occhio e croce 15 kg di meno.

Ero magra perché non mangiavo molto ma la cosa fantastica è che non me ne accorgevo.
Non me ne fregava nulla.

Giocavo a pallavolo e ciò mi rendeva anche aggraziata.
Tuorli in cottura

Non avevo un pensiero al mondo se non stare attenta a quando mi cadeva il braccialetto al cui nodo era legato un desiderio, per sperare si avverasse.
In questa foto sono seduta nel giardino della casa di Fregene, in un'aiuola piena di piante, d'estate.
In uno dei tre mesi di mare che la vita mi ha concesso per un sacco di anni.
Probabilmente l'estate di 28 anni fa.


Così, con profonda indulgenza, ogni volta che guardo questa foto mi dico: guardati cretina, guardati!
Ti costava molto credere in quello che eri?
Temo di sì.
...e cotti
Se avessimo a 14 anni la saggezza dei 40 saremmo tutti felici. E non esisterebbero gli psicologi.

Questa foto mi sembra sempre surreale. La guardo come se non fossi io, come se quella bella ragazza con lo sguardo sensuale, seduta con naturalezza, non corrispondesse con quello che ricordo di lei e con quello che l'ho fatta diventare.
Ah dunque esisteva? Mi dico. C'era chi un tempo ha saputo di essere donna e voleva restarci?
E dov'è ora? Quand'è che ha smesso di amarsi, se mai lo ha fatto, almeno d'estate?
Cosa vedevano gli altri in lei? Una a cui manca sempre la terra sotto i piedi o una futura, grande e bellissima donna?
Troppe domande separano me da quella foto.
Vai con lo stampo
Domande che riguardano più il mistero della donna scomparsa che i motivi della sua sparizione.
Mortificarsi è una cosa che riesce molto facile da adolescenti, non bisogna far altro che assecondare gli ormoni e seguire la naturale inclinazione all'autolesionismo tipica di quell'età.
Eppure non lo si pensa, guardando la testa leggermente chinata e lo sguardo ammaliante.
Seduta sull'erba poi. Che adesso neanche col filo spinato elettrico che brucia tutti gli insetti sottostanti, mi ci metterei.
Questa foto insomma, mi serve per ricordare per quale motivo ho passato un anno a fare dolci, a vincere il terrore che mangiare con piacere sia "peccato" o il terrore di ingrassare anche soltanto mescolando burro e cioccolato, vivendo nell'enorme contraddizione di pensare che il grasso sia il male del mondo ma il cibo la sua consolazione.

Ora so qual è la mia missione per il 2016: tornare a quella foto.
Nè nel senso di peso, nè nel senso di età.
Ambedue le cose possibili come viaggiare nel tempo.
Dovrò togliere l'equivalente di sei matriosche, una diversa dall'altra, la prima di sensi di colpa, la seconda di paure, la terza di protezione e due o tre di puro, semplice e inattaccabile GRASSO.

D'altronde Paolo Fox ha detto che sarà il mio anno, che Saturno è uscito dal Toro e che posso mettere in pratica le elucubrazioni degli ultimi 1000 giorni (di me e di me)...
...e se lo dice Paolo Fox...

Nel dubbio vi parlo di biscotti fatti a fine novembre.
Erano nel libro di Knam e in attesa di fare "Giorgio", l'ultima grande impresa, non ho tralasciato il resto. Ho rifatto la Tris, ho rifatto "Giulio", ho fatto i bigné. Insomma, mi tengo in allenamento.
OVIS MOLLIS PRONTI
Sti biscotti si chiamano "ovis mollis". Sono fatti con i tuorli sodi invece che crudi e sono morbidissimi. Knam dice che è per questa cosa delle uova ed è un Ipse Dixit come Paolo Fox (ammazza quante x in una frase sola!) però mi permetto di credere che sia anche per il quantitativo di burro che travalica di un par de spanne la soglia del " che te farà mai un po' di burro! non ha mai ammazzato nessuno".
Bòni comunque.
Corrado se l'è spolverati in un pomeriggio. Ha rischiato che gli si allappasse per sempre la lingua ma immagino ne sia valsa la pena.

Non lo racconto nemmeno che per cuocere solo i tuorli ne ho inventata una delle mie! Beh, ormai lo racconto. Li ho separati dalle chiare e messi un pentolino a cuocere nell'acqua.
Non era scritto da nessuna parte. Ho deciso di fare sta cazzata di mia iniziativa.
Quando se dice er genio...
Il tuorlo con quel po' di chiara rimasta intorno, ha generato un quantitativo di schiuma nel pentolino che nun te po' veni' in mente che sto poco de chiara crei sto bordello, tipo  quando mettevamo il Nidra al latte nella vasca da bagno! Però se so' cotti senza troppi danni.
L'ho dovuti asciugare con la carta assorbente. Il resto è biscotto.


 E questi siamo mia mamma, io e papà. 
 Felici.
Davanti ad una torta.



p.s. riflessione alla "In treatment": le mie foto più felici sono davanti ad una torta. 
Per quello mi rifiutavo di imparare a prepararle? 
Ammappa che riflessione complicata...Freud me sta a fa' l'applauso dalla tomba...un'eco...




lunedì 11 gennaio 2016

And a Happy new year....

Vabbé du' paroline allegre, un teuccio coi biscotti al caldo del salone di casa, per lasciare il 2015 co' 'n attimo de speranza, no?

Ma sì dai... visto che in questo anno, che non mi sento ancora di aver finito di raccontare, ho sviscerato ricordi dolorosi, paranoie e problemi, ho salutato il mio amore per Roma, ho spiattellato al vento i miei affetti tutti, forse du' righe pe' di' "oh, comunque buon anno eh!", ci stanno bene.

Ho lasciato una torta da raccontare in sospeso, tra l'altro, fatta il 22 novembre, al compleanno di mia cugina.
Senza considerare quell'unica torta che è rimasta da fare invece, che rimanderà fino a nuovo giudizio, la chiusura definitiva di questo blog, o almeno di questo diabetico anno.

Spremitura e zeste di lime
Sta torta rimasta indietro me fa domanda': perché non finisci con una che t'è venuta bene, Sara, invece che co' sto coacervo de minchiate fatte?
Eh perché... perché questa è rimasta, che dovemo fa'?
Che poi manco sarebbe venuta male, se non avessi avuto almeno un paio di volte nel corso del pomeriggio quello che si chiama "l'attimo der cojone". Dunque gli attimi.
Il giorno in cui ho fatto la torta, infatti, avevo avuto un piccolo choc. Durante la mattina, mentre mi vestivo, ho avuto una specie di svenimento e delle palpitazioni. Ho scoperto di essere allergica a qualche componente di un nuovo detersivo che stavo usando da un paio di settimane. Allergia da accumulo con pruriti, bolle e asma durati quasi fino ad oggi, con cura a base di cortisone e antistaminico.
Quel giorno non stavo un granché, in conclusione.
Questo non per giustificare il semi disastro compiuto, ma per dire che quelle che ho fatto sono stronzate non usuali, che non appartengono al campionario di quelle fatte con una regolarità da serial killer.
Torta cioccolato bianco, aloe vera e lime. Questa era. O avrebbe dovuto essere.
Avevo persino trovato tutti gli ingredienti, aloe a parte.
Knam dice: se non trovi l'aloe, mettici il cedro candito. Così ho fatto. L'aloe l'avevo trovata solo sciroppata; prima di usarla per il dolce di mia cugina, l'ho usata per una torta margherita, per vederne l'effetto. Una porcata epocale. Una roba semiviscida e zuccherina, assolutamente priva di ogni altro sapore che non fosse sciroppo di zucchero.
Gelatina di lime con i cerchi già fatti
Forse Knam ha un'aloe speciale, che sa di aloe e che ha una consistenza piacevole. Sinceramente sti quadratini di ostrica allo zucchero, mi facevano abbastanza cagare. Ho preferito il cedro.
E fin qui...
La sera prima, per portarmi avanti con le pratiche, avevo fatto, con successo, la gelatina di lime che doveva servire per decorare la torta e avevo spremuto il kg di lime che doveva servire per la crema pasticciera (al lime, appunto). Base: una frolla. Ormai la mia specialità.
Riassumendo: frolla, crema pasticciera al lime con cedro candito, copertura di ganache al cioccolato bianco con zeste di lime, guarnita con cerchi di gelatina al lime.
Nun se soffermamo sur fatto che a luglio sarebbe stata più bbbona co' tutto sto lime e che co' 'n mojito accanto potevi mori' felice. A novembre l'ho fatta e a novembre se la pijamo.
Soffermamose piuttosto sui due momenti der cojone:
1) cuocere la frolla con un cerchio di metallo all'interno della teglia per evitare che cadessero i bordi col calore, senza foderare la torta con carta da forno, così una volta sfornata ho realizzato che il cerchio di metallo, col calore, era affondato nella torta separando di netto il bordo dal fondo e costringendomi a rifare tutto.
Cappellata n° 2
2) riprovare a cuocere la frolla ad evitare il crollo dei bordi inserendo nella teglia una scatola di metallo con coperchio rivolto verso il basso, ma sempre senza foderare con la carta da forno. Così sfornata la torta ho provato a tirar su la scatola con pessimi risultati, appurando che la frolla dei bordi si era riversata nell'intercapedine tra la scatola e il coperchio, sigillandola per sempre.
3) a quel punto rattoppare la frolla cotta con pezzi di frolla rimasta e rimetterla in forno 10 minuti rendendo il tutto duro come 'n sercio.
4) conseguenze del bordello sono state un ritardo clamoroso e la conclusione in Zona Cesarini: la ganache non si è freddata abbastanza e le gelatine di lime ci sono affondate come Artax nella palude della tristezza;  la torta non si è potuta togliere dallo stampo pena la distruzione immediata da spappolamento della frolla.

Torta pronta senza cerchi di lime


Alla fine quindi, pe' tigna ho portato a termine il lavoro. Con il motto "ce la devo fare, ce la devo fare" nella testa.
Ho fatto a mia cugina una buona torta, finita in mezz'ora da 5 persone.  Non bella, come al solito, direi proprio bruttarella anzichenò, pora creatura!
Sembrava avessi depositato delle fette di patate su un purè!
Mi assolvo però, da 'sto disastro.






Mi assolvo perché non ero in me. Non sono cappellate che farei normalmente. Era da me sbagliare la crema, far sciogliere la gelatina dimenticandomi di metterla in frigo la notte, accorgermi di aver spremuto tutti i lime senza aver grattato la buccia, lasciare il forno su grill o ad una temperatura improbabile.
Ma dimenticarmi la carta da forno no, non è da me. E rovinare la torta per queste distrazioni nemmeno.
Mi piace più fare errori che dichiarano che non sono capace, piuttosto che "sono capace ma sono rincoglionita".
Altrimenti sarei costretta a dirmi "stai diventando capace" o per lo meno "puoi diventare capace" e lo scopo di questo anno si realizzerebbe, costringendomi a dare risposte a domande per le quali ho cucinato una cinquantina di torte.
Tutto troppo complicato per deciderlo con della carta da forno dimenticata. Ci vuole tempo. E ne ho ancora un po' bisogno.

Intanto...

...ecco la torta. Con le gelatine di Artax. 



ps. no, non parlo di mia cugina e del fatto che ho sbagliato di nuovo una torta per una persona che amo perché lo voglio fare in altro modo e in altro post.
A presto su questi schermi.